Moto browniano
Principi del moto browniano
Le particelle di una dispersione colloidale, osservate all'ultramicroscopio, si rivelano animate da un rapido continuo movimento lungo successivi brevi tratti rettilinei disposti a caso.
Tale movimento (moto browniano) è causato dai moti termici delle molecole del mezzo disperdente che urtano contro la particella colloidale ed è indipendente da cause accidentali come ad esempio movimenti convettivi in seno al liquido.
Date le piccolissime dimensioni della particella colloidale, il numero degli urti delle particelle del mezzo disperdente contro la particella colloidale non è sufficientemente elevato da dare, istante per istante, risultante nulla delle quantità di moto messe in gioco nei singoli urti, e ciò per due ragioni:
- ammesso che la quantità di moto dei singoli urti sia uguale, può differire il numero di urti negli opposti versi di una stessa direzione (caso di sinistra della figura seguente);
- ammesso che il numero di urti sia uguale in ogni direzione, la risultante delle quantità di moto può essere ancora non nulla a causa della diversa velocità delle molecole del mezzo disperdente che impattano la particella colloidale con quantità di moto diverse (caso di destra della figura seguente).
Origine del moto browniano: le lunghezze delle frecce a tratto pieno rappresentano le quantità di moto relative agli urti, ad un dato istante, delle molecole del liquido disperdente sulla particella colloidale. Si notino le diverse lunghezze delle frecce.
Nel moto browniano, la velocità è un importante parametro per decidere quanto una dispersione abbia carattere colloidale; tanto più lento è il moto browniano, tanto più la dispersione esaminata va degradando verso lo stato di sospensione.
Infatti le particelle delle sospensioni hanno dimensioni sufficientemente grandi da rendere nulla la risultante istantanea delle quantità di moto dovute agli urti delle molecole della fase disperdente, e non presentano moto browniano (sono soggette soltanto ai moti convettivo e gravitazionale).
Storia del moto browniano
Il moto browniano fu scoperto nel 1827 dal botanico R. Brown: egli, osservando al microscopio sospensioni acquose di polline di Clarkia Pulchella, notò che certe particelle (forse granuli di citoplasma) provenienti dai grossi granuli di polline (di circa 5 ·10-4 cm) erano animate da un particolare movimento perenne.
Queste particelle per un certo tempo furono ritenute molecole attive caratteristiche della materia vivente.
Presto però Brown stesso si accorse che anche particelle inorganiche erano animate dallo stesso tipo di movimento, e cadde l'ipotesi delle molecole attive.
La causa del moto browniano fu scoperta assai più tardi in base alla teoria cinetica molecolare, e la sua spiegazione quantitativa fu data nel 1904 da A. Einstein, le cui conclusioni teoriche furono sperimentalmente dimostrate esatte da J. Perrin (1908).
È interessante notare che A. Einstein formulò la teoria del moto browniano senza conoscere l'esistenza di questo.
Egli cercava di immaginare esperienze che potessero dimostrare la struttura molecolare della materia e inventò il moto browniano.
Solo successivamente seppe che il modello che egli aveva creato teoricamente, era sperimentalmente noto da 80 anni.
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