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Riassunto capitolo 31 dei Promessi Sposi

Riassunto capitolo 31 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

In questa sezione del sito è possibile leggere il riassunto del capitolo 31 dei Promessi Sposi.

Le bande dei soldati mercenari, oltre alla devastazione, portano nel milanese la peste.

Nessuna relazione storica contemporanea a Manzoni basta da sola a dare un'idea chiara e ordinata del disastro, perciò si rende necessario, come indicazione di metodo, quello della raccolta e del confronto di diverse fonti, per distinguere i fatti più importanti secondo un rapporto di cause ed effetti. Nei luoghi dove era passato l'esercito, cominciano ad ammalarsi e morire numerose persone di mali strani e sconosciuti.

Il primo ad accorgersi della peste, proprio perché memore di quella del 1576, e a denunciare lo sviluppo del contagio è il protofisico Ludovico Settala.

Il Tribunale della sanità decide di inviare nei territori colpiti dei commissari per compiere accertamenti e la peste viene smentita, ma arrivano continuamente notizie di morte da diverse parti, tanto che vengono spediti altri due delegati: il Tadino e un magistrato del tribunale.

Quando questi giungono nei paesi colpiti i segni della peste sono evidenti: paesi con ingressi chiusi, alcuni quasi deserti, gli abitanti scappati o dispersi, ma non si contano i morti e gli ammalati, tutti con i segni  del morbo addosso.

Viene nuovamente informato il Tribunale della sanità che prescrive una serie di provvedimenti per arginare il contagio, ma ormai è troppo tardi.

La peste arriva a Milano

Informato, il governatore Ambrogio Spinola non si preoccupa delle morti per peste, ma ordina feste pubbliche per la nascita del primogenito del re Filippo IV.

Mentre le autorità si muovono con una lentezza inspiegabile, la peste è portata a Milano da un soldato italiano al servizio della Spagna, che ha con sé un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati tedeschi.

Questo fante si ammala di peste e muore dopo quattro giorni; insieme a lui vengono colpiti due servitori e un frate che lo avevano assistito. Altri cadono vittime del contagio e, per ordine della Sanità, condotti al lazzaretto.

Per il terrore della quarantena e del lazzaretto non si denunciano gli ammalati, si corrompono i becchini e la malattia si propaga.

La popolazione continua a non voler credere, nega l'evidenza , si scaglia contro quei medici, in particolare il Tadino e il Settala, figlio del protofisico Ludovico Settala. Vengono addirittura accusati di impostura e inganno.

I medici ora, quelli contrari all'idea della peste anche di fronte all'evidenza delle morti più frequenti e repentine, trovano un nome diverso: si parla di febbri maligne e pestilenziali.

Il lazzaretto

Il lazzaretto, sebbene l'altissima mortalità, si riempie ogni giorno di più  ed è difficile assicurare il servizio e far mantenere una disciplinata distribuzione dei compiti.

Le autorità cittadine, in assenza del governatore impegnato nell'assedio di Casale, affidano la direzione del  lazzaretto ai padri  cappuccini guidati dall'energico e infaticabile padre Felice. I cappuccini diventano campioni di eroismo, perché si prodigano ad assistere i malati e i moribondi, molti di loro sacrificando se stessi.

Il popolo, ora che la peste non colpisce solo i poveri  ma anche le persone ricche e conosciute, non può non accettare l'evidenza, ma spinto dall'irrazionalità nega le cause naturali del contagio e cerca capri espiatori, li trova in gente congiurata a spargere la peste per mezzo di veleni contagiosi.

Addirittura un dispaccio di Filippo IV avverte che sono scappati da Madrid quattro francesi, ricercati come sospetti di spargere unguenti pestiferi. Nascono dappertutto gli untori: farabutti che, per fini politici o pratiche diaboliche, diffondono la peste con unguenti contagiosi che mettono su porte, muri ed anche panche in chiesa.

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